Pittore di Baltimora Oinochòai a figure rosse (Ultimo venticinquennio del IV sec. a.C.) Canosa di Puglia, Museo Archeologico Nazionale
Turismo e cultura

La Ceramica a figure rosse (IV sec. a.C.)

Francesco Specchio
Francesco Specchio
Qiuarto appuntamento con la rubrica su "L'evoluzione della ceramica canosina dal XII al III sec. a.c."
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Antefatti

Contemporaneamente agli sviluppi della produzione ceramica a Canosa e nel resto della Daunia, avvenuti dal IX sec. a.C. in poi, in Grecia gli stili a decorazione geometrica furono gradualmente superati prediligendo sempre più rappresentazioni con figure umane. Questo nuovo linguaggio pittorico prese piede intorno al VII sec. a.C., prima a Corinto e poi nelle botteghe di Atene. Le immagini venivano dipinte utilizzando una vernice nera ottenuta con un impasto di acqua e di argilla arricchita con ossidi di ferro. Sullo sfondo, la materia fittile veniva lasciata a vista. In fase successiva, il vaso veniva cotto in fornace. Questa produzione è conosciuta per l’appunto come “ceramica a figure nere” ed ebbe il suo apice nel VI sec. a.C.
Intorno al 530 a.C., soprattutto a causa della poca praticità nell’eseguire figure nere e di una difficoltà a rendere gli effetti tridimensionali, i ceramografi attici – cioè appartenenti all’Attica, la regione di Atene – riuscirono a concepire un nuovo stile pittorico vascolare che è esattamente l’opposto del precedente: la cosiddetta “ceramica a figure rosse”. Infatti, in questo caso, il pigmento nero rivestiva lo spazio che costituiva lo sfondo della rappresentazione, mentre le figure erano lasciate in argilla a vista e senza essere colorate, prima di procedere alla cottura del vaso che conferiva ai soggetti un effetto arrossato.

Dopo essersi affermata nelle póleis greche, la produzione della ceramica a figure rosse fu esportata, intorno al V sec. a.C., verso le altre sponde del Mediterraneo, giungendo nelle colonie della Magna Grecia e della Sicilia che divennero importanti centri di produzione vascolare.
Gli ateliers “italioti” – vale a dire quelle botteghe di ceramografi greci insediati in queste colonie – avrebbero attinto ad un ricco repertorio raffigurativo, riflettendo la raffinata produzione della madrepatria e irradiando lo stile a figure rosse anche nei territori italici e anellenici, come la Daunia. Per tale motivo, varie aree geografiche della nostra penisola avrebbero cominciato a conoscere un nuovo modo di intendere l’arte vascolare: forme, raffigurazioni, decorazioni, accorgimenti tecnici che comportarono di contro nuovi gusti da parte dei futuri acquirenti dei prodotti ceramici.
In base alle conoscenze documentali, i contatti che il territorio della Puglia settentrionale intrattenne con le colonie greche avrebbe avuto origine non prima della fine del V sec. a.C., soffrendo qualche decennio di ritardo rispetto alla Peucezia e alla Messapia. Questo legame con la Grecia e le sue colonie fu dovuto presumibilmente a una crisi delle importazioni e a un rallentamento dell’attività produttiva locale.
Agli inizi del secolo successivo, in Daunia si sarebbe affermata una classe nobiliare “filoellenica” che avrebbe favorito relazioni commerciali e culturali con la Magna Grecia. L’avvicinamento aristocratico al mondo greco ha avuto come riflesso il fatto che i nobili locali – abbienti, ma probabilmente anche colti – avrebbero cominciato ad acquistare forniture italiote, almeno per scopi rituali, le quali sarebbero assurte ad autentico status symbol.

La Ceramica a figure rosse a Canosa

L’arrivo nella Puglia settentrionale di manifatture ceramiche prodotte dalle botteghe coloniali – in particolar modo, gli opifici di Metaponto e Taranto – arricchì il panorama artistico locale, già di per sé molto variegato, come abbiamo riscontrato nei precedenti articoli. Pertanto, alla produzione indigena – consolidata, ma ora in crisi – si aggiungevano importazioni dall’esterno. Come anticipato, tale genere ceramico rimaneva comunque destinato soprattutto ai gruppi familiari di ceto sociale medio-alto sepolti in molti casi nei sontuosi ipogei, tombe a camera sotterranee.
Originariamente, le forme vascolari erano concepite come contenitori di derrate e liquidi. In seguito, i manufatti sarebbero stati prodotti esclusivamente per la tomba manifestando il prestigio, il potere economico e la sensibilità culturale della famiglia del defunto, dal momento che questi stessi oggetti venivano anche messi in mostra durante il cerimoniale funerario.

Nel corso della fase artistica del “Medio Apulo” (370-340 a.C.), nei corredi canosini trovarono spazio le imponenti creazioni del “Pittore Varrese” (355-340 a.C.), il cui nome è riferito all’omonimo ipogeo canosino (IV-III sec. a.C.) dal quale proviene una notevole raccolta di pregiato vasellame, oggi esposto per la quasi totalità al Museo Archeologico Nazionale di Canosa di Puglia.
Il Pittore Varrese era di probabili origini tarantine e dipingeva, in particolar modo, su vasi di grandi dimensioni, trattando accuratamente i panneggi, adottando una decorazione accessoria uniforme e soprattutto prediligendo le scene mitologiche, come una grande anfora col ritratto di Niobe piangente e in lutto per la morte dei propri figli.

Ecco che, quindi, seppur in modo ristretto ad ambiti intimi come quelli familiari e sepolcrali, anche l’area daunio-canosina ha potuto conoscere le epiche e strazianti vicende della mitologia greca: scene di dei ed eroi, tragiche o a lieto fine, popolano la superficie vascolare descrivendo l’episodio, quasi raccontandocelo come se lo stessimo leggendo su un libro di racconti. Queste autentiche opere sono state prodotte da autori non solo abili col pennello, ma dalla presumibilmente elevata conoscenza intellettuale per i temi da rappresentare, i quali derivavano da un bagaglio tecnico e culturale che giungeva dalla madrepatria greca.

Tale produzione, ben presto, si sarebbe radicata anche a Canosa, segno di un esplicito interesse nei confronti di questo elaboratissimo genere vascolare. Grazie a quanto sostenuto da illustri studiosi, come il neozelandese Arthur Dale Trendall (1909-1995), si ipotizza una presenza di officine specializzate nella ceramica a figure rosse anche in città, considerando la scoperta in loco di determinate forme come i kántharoi (coppe per bere vino), le oinochòai (brocche da vino), oppure le phiàlai (vassoi per la raccolta di offerte, o per la consumazione di cibo).
Di conseguenza, a partire dagli inizi della seconda metà del IV sec. a.C. in poi, anche a Canosa e nel territorio emersero personalità che seppero degnamente rappresentare lo stile a figure rosse. Pertanto, non solo il territorio era sempre più aperto e permeabile a quelle che localmente erano considerate novità, ma in esso si cercavano anche le condizioni per una produzione locale di questo genere di ceramica, esteticamente molto attraente e raffinato. Potremmo considerare questo momento come il compimento di un processo che avrebbe determinato un diverso e rinnovato volto della Ceramica canosina
Occorre comunque dire che le denominazioni di tali interpreti – come per l’anzidetto Pittore Varrese – sono per lo più fittizie e coniate dopo aver ravvisato specifiche affinità, come l’uso di un determinato cromatismo, oppure la preferenza nel lavorare su determinate forme di vasi.

Nell’ultimo quarto del IV sec. a.C., in quella che viene definita la fase del “Tardo Apulo” (340-300), andrebbe annoverata a Canosa l’attività del “Pittore di Dario” (…-340-320 a.C.), esponente tarantino che avrebbe fondato in città un’officina. Egli è ricordato maggiormente per il maestoso e omonimo cratere a mascheroni (grande recipiente cerimoniale utilizzato per la mescita del vino con l’acqua) conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ma riportato alla luce proprio da un ipogeo canosino nel 1851.
Si presume che il Pittore di Dario fosse stato un seguace del Pittore Varrese, riuscendo persino a superarlo nella resa pittorica. Come quest’ultimo, anch’egli prediligeva la pittura su vasi di grandi dimensioni quali anfore e loutrophòroi, oltre ai già citati crateri.

Prosecutore della bottega del Pittore di Dario sarebbe stato il “Pittore di Baltimora”, la cui denominazione è dovuta a un cratere conservato presso il Walter Art Museum di Baltimora (Maryland – Stati Uniti), dal carattere simile ad alcune creazioni vascolari canosine.
Le principali caratteristiche che ricondurrebbero a questo artista sono le pitture sui crateri, anfore (vasi da trasporto), loutrophòroi (vasi per la conservazione di acqua lustrale per la purificazione del corpo prima del matrimonio) e hydrìai (contenitori per acqua).

Personalità non accademica e dallo stile quasi eccentrico è invece quella del “Pittore della Lampas”, il cui nome deriva dalla fiaccola (lampas) rappresentata in mano ad uno dei personaggi su una pelìke (contenitore di liquidi) rinvenuta all’interno dell’Ipogeo Varrese.
Presumibilmente canosino, per via dei numerosi esemplari ceramici ritrovati nel territorio, questo ceramografo si distingueva per raffigurare scene mitologiche, ritratti di donne matronali, animali buffi, o giovani nudi in riti di iniziazione.

Nel tardo IV sec. a.C., si affermò l’opera del “Pittore di Arpi”, il cui nome suggerirebbe sia una provenienza, sia anche la titolarità di una bottega presso l’omonimo centro dauno, anticamente situato nelle vicinanze dell’attuale Foggia. Ritenuto allievo del Pittore di Baltimora, anch’egli era accomunato al presunto maestro (e allo stesso Pittore Varrese) per prediligere raffigurazioni a tema mitologico, come il mito della fuga di Andromeda e Perseo, e il trattamento accurato dei panneggi su vasi anche di grandi dimensioni.

La carrellata può comprendere vari altri interpreti, per i quali si rimanda alle sottostanti indicazioni bibliografiche e webgrafiche, utili anche ad analizzare un fenomeno complesso come la diffusione e la reinterpretazione locale di queste pregiatissime ceramiche di matrice ellenica.

All’interno del Museo Archeologico Nazionale di Canosa di Puglia, nelle cosiddette sale “di Niobe” e “del Naiskos”, possiamo quindi contemplare l’estro artistico di questi ceramografi.

Bibliografia e webgrafia

R. CASSANO, Ceramica a figure rosse, in R. CASSANO (a cura di), “Principi, Imperatori, Vescovi”, Venezia 1992

CERAMICA APULA, voce in https://it.wikipedia.org/wiki/Ceramica_apula

M. CORRENTE, Produzione e circolazione della ceramica a figure rosse a Canosa e nel territorio: i dati delle recenti scoperte (testo reperibile all’interno del seguente Url: https://books.openedition.org/pcjb/2823?lang=it )

M. CORRENTE (a cura di), 1912. Un ipogeo al confine. La Tomba Varrese, Canosa di Puglia 2001, ristampa nel 2004

C. GUERRINI, L. MANCINI, Un fiume di immagini: i vasi attici a figure rosse, in U. ECO (a cura di), “Storia della civiltà europea” (testo reperibile tramite il seguente Url: https://www.treccani.it/enciclopedia/un-fiume-di-immagini-i-vasi-attici-a-figure-nere-e-rosse_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/ )

F. SILVESTRELLI, Le officine della ceramica a figure rosse in Italia meridionale: l’evidenza archeologica dei luoghi di produzione (testo reperibile all’interno del seguente Url: https://ciao.hypotheses.org/1012#identifier_4_1012 )

L. M. TODISCO, Mito e società nella Daunia del IV sec. a.C., Roma 2009 (abstract reperibile tramite il seguente Url: https://ricerca.uniba.it/handle/11586/20777 )

L. TODISCO, Il Pittore di Arpi, (articolo reperibile tramite il seguente Url: https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/wp-content/uploads/2021/08/4_TODISCO.pdf )

LAPUGLIACHESCRIVE, “Il Pittore di Arpi” di Luigi Todisco (recensione), articolo reperibile tramite il seguente Url: http://www.puglialibre.it/2009/04/il-pittore-di-arpi-di-luigi-todisco/

Pannelli presenti all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Canosa di Puglia

PITTORE DI BALTIMORA, voce in https://it.wikipedia.org/wiki/Pittore_di_Baltimora

PITTORE DI DARIO, voce in https://it.wikipedia.org/wiki/Pittore_di_Dario

domenica 15 Gennaio 2023

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